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Ippia di Elide (in greco antico: Ἱππίας, Hippías; Elide, 443 a.C. circa – Elide, 399 oppure 343 a.C.) è stato un filosofo, matematico e astronomo greco antico. Per la sua versatilità, Ippia fu incaricato di importanti compiti diplomatici per conto della sua città: la sua fama di sofista e la sua attività politica lo portarono a viaggiare ad Atene, Sparta e in Sicilia. Insieme a Protagora, Gorgia, Prodico, Trasimaco, egli costituisce il gruppo dei cosiddetti sofisti della prima generazione.
Il Gorgia (Γοργίας) è un dialogo di Platone risalente al gruppo dei dialoghi giovanili, e scritto probabilmente attorno al 386 a.C., al ritorno del filosofo dal suo primo viaggio in Sicilia. Esso prende il titolo dal primo e più noto interlocutore che Socrate incontra in questo dialogo, il retore Gorgia di Leontini.
La sofistica (in greco σοφιστική τέχνη, sofistiké téchne) è stata una corrente filosofica sviluppatasi nell'antica Grecia, ad Atene in particolare, a partire dalla seconda metà del V secolo a.C., la quale, in polemica con la scuola eleatica e avvalendosi del metodo dialettico di Zenone di Elea, pose al centro della propria riflessione l'uomo e le problematiche relative alla morale e alla vita sociale e politica. Non si trattò di una vera e propria scuola né di un movimento omogeneo, ma fu estremamente variegata al suo interno: i suoi esponenti (detti appunto sofisti), seppur accomunati dalla professione di «maestro di virtù», si interessarono di vari ambiti del sapere, giungendo ognuno a conclusioni differenti e a volte tra loro contrastanti.I sofisti rinunciarono alla vastità delle congetture cosmologiche dei filosofi naturalisti, concentrandosi sulla soggettività dell'uomo, sulla legittimità delle opinioni e il valore dei fenomeni. L'approccio dei sofisti era quindi orientato all'individualismo e al relativismo, alla critica dei valori tradizionali, al razionalismo. I contemporanei avvertirono in queste posizioni il rischio di derive ateistiche e di corruzione dei costumi. Certa storiografia moderna ha invece evocato l'idea di un illuminismo greco.
I Dialoghi platonici rappresentano la quasi totalità della produzione letteraria e filosofica di Platone: il suo corpus ne conta ben 34, a cui si aggiungono un monologo (Apologia di Socrate) e 13 Lettere (Platone). Per quanto riguarda la scelta stilistica del dialogo come forma espositiva, è importante sottolineare come, in quegli anni, vi fossero tutte le condizioni per questa particolare scelta: da una parte, la sempre più vasta popolarità e fortuna della tragedia e della commedia, dall'altra il dialogare dei sofisti e di Socrate. Se non è dunque possibile sostenere che Platone sia stato il creatore del dialogo come genere letterario, è però verosimile che egli abbia colto la comune abitudine al dialogare e al porre quesiti, iniziando forse a stendere semplici questionari senza personaggi, affidando poi, in una seconda fase, alla figura di Socrate la funzione di protagonista di opere più strutturate e complesse.Alcuni dialoghi, definiti pseudo-platonici o spuri (in greco nothoi, cioè apocrifi), sebbene attribuiti a Platone, erano considerati non autentici già dall'antichità, e per questo motivo esclusi dal corpus delle sue opere. Di alcuni ci sono noti solo i titoli (Midone, Feaci), mentre di altri sei possediamo il testo completo: Sulla giustizia, Sulla virtù, Demodoco, Sisifo, Erissia, Assioco. Oltre a questi, gli studiosi moderni concordano nel considerare spuri anche alcuni dialoghi ritenuti autentici dagli antichi: Definizioni, Ipparco, Minosse, Amanti, Teagete.Il sistema di riferimento usato per la citazione di passi dai dialoghi di Platone è l'edizione della sua Opera omnia curata nel 1578 dal tipografo francese Henri Estienne (la famosa Edizione di Stephanus).
L'eristica (dal greco erìzein, “battagliare”, probabilmente per indicare l'arte di battagliare con le parole) è una evoluzione della Prima Sofistica di Protagora e di Gorgia. All'eristica, infatti, non interessa se un discorso possa essere vero o falso né le definizioni delle parole che vengono impiegate; il suo unico fine è quello di confutare il proprio avversario e di persuaderlo mediante la retorica a cambiare opinione. Per questo i sofisti della scuola eristica, detti eristi, si vantavano di poter confutare qualsiasi cosa che si dica esser vera o esser falsa. A causa di queste caratteristiche l'eristica ha finito per influenzare in modo eccessivamente negativo la percezione della figura del sofista, in particolare quelle di Protagora e di Gorgia, il cui contributo importante alla storia della filosofia occidentale – in particolare il relativismo culturale e il fenomenismo epistemico – è stato riconosciuto solo di recente.
L'Encomio di Elena è un testo del filosofo sofista Gorgia da Lentini. In esso l'autore si pone l'obiettivo di scagionare Elena, moglie di Menelao, dalla terribile colpa di aver provocato, abbandonando il marito per seguire Paride a Troia, la sanguinosa guerra di Troia. L'argomento non era nuovo: Gorgia prendeva spunto infatti da un filone preesistente che, inaugurato dal poeta lirico Stesicoro nella celebre Palinodia di Elena, sosteneva che la donna in realtà non andò mai a Troia e che al suo posto, con Paride, partì un fantasma (in greco εἴδωλον, eidolon). Questo fatto scagionava la regina di Sparta come causa del decennale conflitto. Il filosofo, in questo testo, per discolparla presenta una serie di implicazioni logiche secondo le quali Elena non è realmente rea del conflitto tra i greci e i troiani: si riferisce infatti alla τύχη (tyche, "destino"), all'eros, alla persuasione della parola e alla forza fisica. L'encomio è una dimostrazione della forza della parola che è capace, mediante un opportuno utilizzo, di ribaltare il convincimento popolare, risultato di secoli di tradizioni, a proprio piacimento. Elena è innocente, poiché il movente del suo gesto è esterno alla sua responsabilità. Schematizzando, Elena può aver agito per questi motivi: Per decreto degli dèi: non si era potuta opporre al fato; Era stata rapita con la forza; Era stata persuasa dalle parole di Paride; Era stata vinta dalla passione amorosa. Per volere della sorte Decreto di necessità (destino)Nel primo caso Elena non ha colpa, in quanto nemmeno gli dèi stessi potevano opporsi al Fato. Se rapita, Elena è una vittima, e la colpa va data a Paride. Di nuovo, se innamorata, Elena è una vittima, poiché fu Afrodite a farla innamorare, come ricompensa a Paride per averla giudicata vincitrice della Mela d'Oro. Infine, se persuasa dalle parole, ancora una volta è da ritenersi innocente, dal momento che, insita nelle parole, è presente una fortissima carica persuasiva, se queste sono pronunciate da un abile oratore. La forza della parola è intesa come "gran dominatore". Infatti, secondo il sofista, la parola riesce a dominare le emozioni; la poesia, ad esempio, riesce a suscitare nell'ascoltatore le stesse emozioni del poeta. Sempre per far percepire la potenza della parola, il potere d'ingannare che esse celano, Gorgia conclude ad effetto dicendo che la sua opera vale sì a difesa di Elena, ma per lui solo come gioco dialettico. Se nulla è, le parole non sono verificanti; anche Elena, che dalla tradizione antica greca è criticata assai aspramente, può essere innocente, e anzi degna di compassione. L'orazione certamente riscosse un enorme successo, dato che successivamente anche Isocrate scrisse un'opera omonima con il medesimo intento.
Callicle (in greco antico: Καλλικλῆς, Kalliklês; Atene, V secolo a.C. – forse 403 a.C., durante la rivolta antiaristocratica contro Crizia) è un misterioso sofista, principale interlocutore di Socrate nel Gorgia di Platone. La sua figura di giovane ateniese aristocratico e dalle idee antidemocratiche ha indotto gli interpreti a porre varie ipotesi sulla sua identità: oltre al Gorgia, infatti, di Callicle non si hanno notizie in altri testi. Al di là di ogni ipotesi, risulta comunque chiaro che con questo personaggio Platone ha voluto presentare (e criticare) una posizione politica certamente presente nel panorama dalla sofistica del V secolo a.C.
L'Alessandra (in greco antico: Ἀλεξάνδρα) è un poema in trimetri giambici, che narra le profezie dell'eponima figlia di Priamo, Alessandra (ma meglio nota come Cassandra, Κασσάνδρα), sulla distruzione di Troia e sulle sue conseguenze. Il lessico di Suda ha attribuito l'opera al poeta della Pleiade Licofrone di Calcide, facendola risalire al III secolo a.C.