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Padri del deserto

Col nome di Padri del deserto si indicano quei monaci, eremiti e anacoreti che nel IV secolo, dopo la pace costantiniana, abbandonarono le città per vivere in solitudine nei deserti d'Egitto, di Palestina, di Siria, sull'esempio di Gesù che trascorse quaranta giorni nel deserto per vincere le tentazioni del diavolo con il digiuno, la preghiera e la Parola di Dio, come raccontato nei Vangeli sinottici (Matteo 4,1-11, Marco 1,12-13 e Luca 4,1-13). Il primo di questi anacoreti fu Antonio il Grande e, secondi san Girolamo e san Paolo di Tebe. Nell'ascesi solitaria, i Padri (abba) e le Madri (amma) del deserto cercavano la via dell'hésychia, della pace interiore. Testimoni di una fede cristiana vissuta con radicalità, ebbero numerosi discepoli e i loro detti o apoftegmi, in cui traspaiono sapienza evangelica e arguzia umana, furono raccolti e tradotti in varie lingue, dando vita al genere letterario dei Pateriká. Accanto alla Vita di Antonio, scritta dal vescovo Atanasio di Alessandria, e alla Storia lausiaca di Palladio di Galazia, le varie raccolte di Apoftegmi restano le fonti più importanti per accostarsi alla spiritualità di questi asceti. La pittura (con Sassetta, Paolo Uccello, Hieronymus Bosch e Mathis Grünewald, per citare soltanto i più famosi), la letteratura (con Gustave Flaubert, Anatole France e Luca Desiato), la musica (con Paul Hindemith e Ottorino Respighi) si sono ispirate alla loro vita, cogliendone, talvolta, soltanto gli aspetti pittoreschi o folcloristici: le tentazioni, i demonietti, i mostriciattoli che popolano i deliziosi quadretti degli apoftegmi.

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