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Inferno è il termine con il quale si è soliti indicare il luogo di punizione e di disperazione che, secondo molte religioni, attende, dopo la morte, le anime degli uomini che hanno scelto in vita di compiere il male. Il termine "inferno" deriva dal latino infernu(m) quindi da inferus (infer) nel significato di "sotterraneo", quindi correlato al sanscrito adhara, gotico under, avestico aẟara, quindi dall'indeuropeo *ndhero col significato di "sotto" (da cui l'inglese under, il tedesco unter, l'italiano inferiore o anche infra). La presenza della f, presente solo nel latino e nei termini da questo direttamente derivati, è per influenza dialettale osca dalla quale i Romani ereditavano la credenza che l'entrata nell'"inferus" (qui inteso come il mondo di "sotto", dove "sono" i morti) si collocasse nei pressi di Cuma. Il termine "inferno" viene tuttavia comunemente relazionato alla nozione propria di alcune religioni, come le religioni abramitiche, ovvero al luogo di "punizione" e di "disperazione". Diversamente, il termine "inferi" indica comunemente quel luogo, come l'Ade greco, ove si collocano le ombre dei morti.
Il giainismo (anche jainismo) (Sanscrito, जैन,) è la religione dei seguaci di Jina (in sanscrito "il Vittorioso"), epiteto di Vardhamāna ("colui che accresce"), noto anche con i nomi di Nāyāputta ("figlio dei Nāya"), dal nome del clan cui apparteneva, Jñāta ("asceta"), Muni ("saggio"), Bhagavān ("venerabile"), Araha ("onorevole"), Veyavī ("conoscitore del Veda") e con i celebri epiteti di Mahāvīra ("grande eroe") e di Tīrthaṃkara ("creatore di guado"), che visse nel VI secolo a.C. nella regione indiana del Bihar. Si tratta di un gruppo eterodosso rispetto alla religiosità brahmanica e vedica e che mira a ottenere la liberazione dal ciclo delle esistenze e l’eliminazione del karman attraverso una serie di pratiche di austerità. Fa riferimento a una serie di testi (definiti in un Canone) che riportano l’insegnamento del fondatore, ma i giainisti ritengono che Vardhamāna sia solo il ventiquattresimo dei maestri definiti appunto come Tīrthaṃkara che hanno insegnato la via della liberazione dal ciclo delle esistenze. Si tratta di una dottrina che trasmette pratiche salvifiche e ha aspetti che la discostano dalla dimensione religiosa così come essa è intesa in Occidente (per esempio le figure divine che nel giainismo sono presenti ma hanno ruolo molto diverso rispetto a forme teistiche). In sostanza il giainismo indica come uscire dal saṃsāra (ciclo delle vite continue) e come liberarsi dal karman, elementi che determinano il continuo trasmigrare di vita in vita e quindi una condizione di sofferenza. È possibile che l'insegnamento catalizzato e proposto da Vardhamāna poggi su precedenti nuclei, trasmessi da figure di cui sono noti alcuni nomi, come Pārśva, il ventritreesimo Tīrthaṃkara, cui possiamo probabilmente dare contorni storici, o che rimandano a dimensioni mitiche, come il primo Tīrthaṃkara, Ṛṣabha, la cui identità si perde nella leggenda e in cui alcuni studiosi hanno voluto vedere una connessione con le civiltà pre-arie (quella della civiltà della valle dell'Indo), vista l’importanza delle figure taurine e bovine nella civiltà vallinda (testimoniata dalle rappresentazioni dei famosi sigilli vallindi) e il significato del termine Ṛṣabha, che è appunto quello di "toro". L’originalità del pensiero giainista, il suo accostamento a tradizioni come quelli dei Cārvāka e degli Ājīvika, il mantenimento di un suo chiaro profilo attraverso i secoli e la sua antichità indubbia rendono questa tradizione una delle più preziose testimonianze del pensiero nel subcontinente indiano.
Con diavolo (definito anche demonio o maligno) si vuole indicare, nella religione, un'entità spirituale o soprannaturale essenzialmente malvagia, distruttrice, menzognera o contrapposta a Dio, all'angelo, al bene e alla verità. Nel linguaggio poetico e letterario, il termine "demone" è usato talvolta col significato di "diavolo" o "demonio" anche perché il plurale è simile (demòni - dèmoni) e le traduzioni dall'inglese rendono "demon" con "demone" anziché "demonio".
Parlando di cultura dell'India ci si riferisce alle religioni, agli usi, alle tradizioni, alle lingue parlate, alle cerimonie, alle arti, al modo di vivere in India e al suo popolo. In un subcontinente come l'India, con una popolazione di oltre un miliardo di individui, le lingue, le religioni, le danze, la musica, l'architettura e le tradizioni culinarie variano sensibilmente da luogo a luogo. La sua cultura è spesso un insieme di diverse sub-culture che risalgono a diversi millenni addietro.Secondo diversi storici essa è la "più antica civiltà della terra", poiché le sue tradizioni risalgono fino all'8000 a.C., sin dai tempi dei Veda, ritenuti risalenti da 3000 a più di 5500 anni addietro. Diversi elementi della cultura indiana, come le religioni e la cucina, hanno avuto un profondo impatto in tutto il mondo e soprattutto nei flussi che sono stati immigranti dall'origine degli indiani d'america.
Il cavallo alato è una creatura mitologica solitamente rappresentata provvista di un paio di ali piumate, ispirate a quelle dei volatili. Questa forma fantastica e immaginaria del cavallo è presente fin dalla più antica epoca nell'arte e nelle storie di miti, leggende, diverse religioni e tradizioni del folklore. Originario dell'antico Vicino Oriente, il cavallo alato arriva in Europa grazie al Pegaso della mitologia greca. È molto presente anche nella mitologia araba e in India, sia nelle tradizioni indù che nel buddismo, in Cina, tra gli Etruschi, in Francia nel folklore del Giura, in Corea con Chollima, in Africa e nel Nord America. Studiato da Spinoza e vari psicoanalisti, il cavallo alato unisce il simbolismo del cavallo classico, quello dell'animale ctoniano e dello psicopompo, con quello dell'uccello, animale rappresentante leggerezza ed elevazione spirituale. Il cavallo alato più noto è Pegaso (in greco antico: Πήγασος, Pḗgasos), originario della mitologia greca. Diverse opere fantasy, fumetti e giochi di ruolo presentano dei cavalli alati, come ad esempio i thestral di Harry Potter.
I testi sacri del Buddhismo (tradizionalmente indicati come Tripiṭaka, "tre canestri") sono attualmente raccolti in tre canoni: il Canone pāli (o Pāli Tipiṭaka), il Canone cinese (大藏經, Dàzàng jīng), e il Canone tibetano (composto dal Kangyur e dal Tanjur), così denominati in base alla lingua degli scritti. I canoni buddhisti raccolgono gli insegnamenti, i sermoni, le parabole e i detti di Siddhārtha Gautama (il Buddha), le regole di vita all'interno del Sangha (la "comunità" dei fedeli, sia monaci che laici) e le tecniche per il raggiungimento del Nibbāṇa, ovvero l'"estinzione", intesa come liberazione dal saṃsāra, l'eterno ciclo karmico di nascita, morte e rinascita a cui sono soggetti tutti gli esseri senzienti. Sebbene la religione buddhista sia divisa al suo interno in numerose scuole di pensiero, di cui le tre correnti maggioritarie sono il Theravāda, il Mahāyāna e il Vajrayāna, che hanno sviluppato dottrine contrastanti e prodotto testi altrettanto diversi, i canoni di tutte le scuole condividono alcune dottrine fondamentali, impartite dal Buddha stesso, che costituiscono il Dharma, la "legge morale" o "condotta di vita" che deve rispettare ogni fedele buddhista, e sono: le Quattro nobili verità; il Nobile Ottuplice Sentiero; l'Ahimsa (compassione o nonviolenza); la meditazione, che conduce alla Bodhi (illuminazione); il Nibbāṇa, estinzione della sofferenza.
Il buddhismo (in sanscrito: buddha-śasana), o più comunemente buddismo, è una delle religioni più antiche e più diffuse al mondo. Originato dagli insegnamenti dell'asceta itinerante indiano Siddhārtha Gautama (VI, V sec. a.C.), comunemente si compendia nelle dottrine fondate sulle quattro nobili verità (sanscrito: Catvāri-ārya-satyāni). Con il termine buddhismo si indica quindi quell'insieme di tradizioni, sistemi di pensiero, pratiche e tecniche spirituali, individuali e devozionali, nate dalle differenti interpretazioni di queste dottrine, che si sono evolute in modo anche molto eterogeneo e diversificato. Sorto nel VI-V secolo a.C. come disciplina spirituale assunse nei secoli successivi i caratteri di dottrina filosofica e, secondo alcuni autori, di religione "ateistica", intendendo con quest'ultimo termine non la negazione dell'esistenza degli dei (deva), quanto piuttosto il fatto che la devozione ad essi, fatto comunque considerato positivo, non condurrebbe alla liberazione ultima. Altri considerano i libri sacri buddhisti (Canone pāli, Canone cinese e Canone tibetano) testi che non divinizzano Siddhārtha Gautama Buddha sakyamuni, ma Adi-Buddha o Buddha eterno, concetti buddhisti equivalenti a Dio; tuttavia non è una concezione affine a quella della divinità in senso occidentale, quanto, nel buddhismo Mahāyāna, il principio della buddhità, raffigurato a volte nelle figure dei Buddha come Vairocana o Amitabha, manifestatosi storicamente come Gautama. Il Mahāyāna venera anche i bodhisattva, esseri vicini all'illuminazione. A partire dall'India il buddhismo si diffuse nei secoli successivi soprattutto nel Sud-est asiatico e in Estremo Oriente, giungendo, a partire dal XIX secolo, anche in Occidente.
L'espressione arte islamica o arti islamiche comprende le arti prodotte a partire dall'Egira (622 dell'era cristiana) fino al XIX secolo da artisti (non necessariamente musulmani), che hanno vissuto in territori culturalmente legati alla religione dell'Islam. Essa riguarda ambiti assai vari, dall'architettura alla calligrafia, dalla pittura all'arte ceramica, ecc. Inizialmente l'arte islamica si è ispirata a quella bizantina, a quella romana, a quella paleocristiana, a quella persiana ed a quella cinese. Fin dall'inizio l'arte islamica pratica l'astrazione e la stilizzazione delle forme che appartengono agli esseri viventi, sforzandosi di descrivere i valori spirituali dell'uomo; evita il naturalismo, che include nella tradizione occidentale l'uso dello spazio tridimensionale, della prospettiva e della modellistica della figura umana in luci e ombre. Può essere suddivisa in vari periodi storici: quello iniziale detto degli Omayyadi (660-750); quello medio degli Abbasidi e quello della dinastia dei turchi Selgiuchidi (1100); quello dei Safavidi (1600); quello della rinascita dell'arte sotto gli Ottomani.L'arte islamica è tipicamente focalizzata sulla riproduzione della calligrafia araba. Più di rado essa si dedica a figure umane: ciò è dovuto alla sensibilità religiosa dei musulmani, timorosi che alla riproduzione delle forme umane possa corrispondere il peccato di idolatria contro Allah, proibito dal Corano, e che nell'arte come imitazione della natura si possa intravedere il tentativo di copiare l'opera dello stesso Allah. Tale sensibilità ebbe importanti effetti anche sull'arte cristiana: in particolare, a ridosso della predicazione di Muhammad, sorse l'eresia pauliciana, che più tardi avrebbe rappresentato l'antesignana dell'iconoclastia. Come si dirà meglio tra poco, non è però vero che l'arte islamica rifiuti in assoluto la rappresentazione delle figure umane, essendo tale limitazione valida soprattutto nei luoghi e nelle opere di tipo religioso e meno in quelli di carattere "profano". L'arte islamica è essenzialmente l'arte del bello, oltre ad essere un mezzo di culto. Viene sviluppato l'arabesco come stile ornamentale universale, stilizzazione di forme vegetali e soprattutto rappresentativo di temi geometrici e simboli presi in prestito dalla calligrafia, ma è nella costruzione delle moschee, dalla pianta simile a quella della casa del profeta Muhammad Salla Allahu ailay wa Sallam, come la Grande moschea di Cordova (785 d.C.), che si riproducono meglio che altrove i fondamenti dell'arte islamica.Significativi e pregevoli, oltre ai mosaici, anche le pitture architettoniche come quella emblematica conservata nella Cappella Palatina, terminata intorno al 1140 a Palermo, i mausolei, luoghi di culto e di potere, la produzione di ceramiche, la lavorazione del vetro e del bronzo, i tappeti con i loro temi artistici legati alla natura. A mano a mano che le conquiste territoriali hanno aperto nuove conoscenze di arte in Asia, in Africa e in Europa, anche il gusto estetico si è aggiornato alle tendenze locali, come ad esempio quella persiana, sempre nel rispetto dei dogmi religiosi. Pur in questa molteplicità di ispirazioni e di centri di creazione, l'arte prodotta nel contesto del mondo islamico presenta comunque una certa unità stilistica dovuta agli spostamenti degli artisti, dei commercianti, dei committenti e delle stesse opere. L'impiego di una scrittura comune in tutta la civiltà islamica e il particolare valore attribuito alla calligrafia rafforzano questa idea di unità. Altri elementi sono stati valorizzati, come l'attenzione posta alla decorazione e l'importanza della geometria e degli arazzi decorativi. Tuttavia, la grande diversità delle forme e delle scene, secondo i paesi e le epoche, porta spesso a parlare più di "arti islamiche" (o "arti dell'Islam") che di un'"arte islamica". Per Oleg Grabar, l'arte dell'Islam d'altra parte non può definirsi che attraverso "una serie di atteggiamenti di fronte al processo stesso della creazione artistica".In architettura, edifici dalle funzioni specifiche, come moschee o madrase, sono creati in forme molto variegate ma seguendo spesso uno stesso schema di base. Se non esiste quasi l'arte della scultura, la lavorazione degli oggetti di metallo, d'avorio o di ceramica raggiunge frequentemente una grande perfezione tecnica. Occorre anche sottolineare la presenza di una pittura e di una miniatura nei libri sacri e profani. Le arti dell'Islam non sono propriamente religiose: l'Islam qui è considerato come una civiltà piuttosto che come una religione. Come già accennato, contrariamente a un'idea molto diffusa, esistono rappresentazioni umane, animali e perfino di Maometto: queste sono bandite soltanto nei luoghi o nelle opere religiose (moschee, madrase, Corani), a dispetto di alcune eccezioni..
L'arte buddhista – con riferimento soprattutto all'architettura, l'incisione e la pittura in rapporto al Buddha, al Dharma ("insegnamento") e al Buddhismo in generale – ha sviluppato dagli albori circa 2.500 anni fa un complesso e molteplice sistema dell'iconografia e del simbolismo. Ha avuto origine nel Subcontinente indiano nei secoli immediatamente successivi alla morte del personaggio storico Buddha Shakyamuni (ca. 563 fino al 483 a.C.).