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La storia della letteratura italiana ha inizio nel XII secolo, quando nelle diverse regioni della penisola italiana si iniziò a scrivere in italiano con finalità letterarie. Il Ritmo laurenziano è la prima testimonianza di una letteratura in lingua italiana. Gli storici della letteratura individuano l'inizio della tradizione letteraria in lingua italiana nella prima metà del XIII secolo con la scuola siciliana di Federico II di Svevia, Re di Sicilia e Imperatore del Sacro Romano Impero, anche se il primo documento letterario di cui sia noto l'autore è considerato il Cantico delle creature di Francesco d'Assisi. In Sicilia, a partire dal terzo decennio del XIII secolo, sotto il patrocinio di Federico II si era venuto a formare un ambiente di intensa attività culturale. Queste condizioni crearono i presupposti per il primo tentativo organizzato di una produzione poetica in volgare romanzo, il siciliano, che va sotto il nome di "scuola siciliana" (così definita da Dante nel suo “De vulgari Eloquentia”). Tale produzione uscì poi dai confini siciliani per giungere ai comuni toscani e a Bologna e qui i componimenti presero ad essere tradotti e la diffusione del messaggio poetico divenne per molto tempo il dovere di una sempre più nota autorità comunale. Quando la Sicilia passò il testimone ai poeti toscani, coloro che scrivevano d'amore vi associarono, seppure in maniera fresca e nuova, i contenuti filosofici e retorici assimilati nelle prime grandi università, prima di tutto quella di Bologna. I primi poeti italiani provenivano dunque da un alto livello sociale e furono soprattutto notai e dottori in legge che arricchirono il nuovo volgare dell'eleganza del periodare latino che conoscevano molto bene attraverso lo studio di grandi poeti latini come Ovidio, Virgilio, Lucano. Ciò che infatti ci permette di parlare di una letteratura italiana è la lingua, e la consapevolezza nella popolazione italiana di parlare una lingua, che pur nata verso il X secolo si emancipa completamente dalla promiscuità col latino solo nel XIII secolo.
La letteratura latina è l'insieme della produzione letteraria in lingua latina e delle problematiche che gravitano intorno al suo studio.
La storia LGBT si riferisce alla storia delle culture gay, lesbiche, bisessuali e transgender in varie parti del mondo, a partire dalla prima testimonianza di tali orientamenti sessuali e identità di genere all'interno delle antiche civiltà.La storia (in senso epocale) delle persone LGBT è stata segnata da persecuzioni e repressioni.
Le Odi (Carmina) di Orazio sono costituite da 104 poesie (scritte a partire dal 30 a.C.) raccolte in quattro libri. Il modello dell'opera è la grande poesia greca di età arcaica, soprattutto Alceo, Anacreonte, Saffo, Pindaro e i poeti dell'isola di Lesbo, con la ripresa di diversi tipi di componimento e di metri vari. Le odi sono suddivise in quattro libri. Il primo libro contiene 38 poesie, il secondo 20, il terzo 30 e il quarto 15. I primi tre libri furono pubblicati nel 731 ab Urbe condita (23 a.C.), il quarto nel 741 (13 a.C.).
La letteratura persiana, o meglio neo-persiana, nasce a partire dall'incontro/confronto fra la tradizione persiana propriamente detta e la cultura linguistica e letteraria degli Arabi conquistatori, che abbatterono l'impero sasanide nel 640 d C.Questo evento traumatico portò a grandi trasformazioni sia nella lingua (introduzione dell'alfabeto arabo) che nella letteratura (introduzione di generi e metri poetici arabi). La letteratura precedente in pahlavi, o medio-persiano, continuerà essenzialmente come espressione degli ambienti zoroastriani fino al X secolo e oltre, ma l'arabo soppianterà il medio-persiano come lingua delle scienze religiose, naturali e filosofiche.Già alla fine dell'VIII secolo abbiamo i primi documenti di una lingua neo-persiana, ampiamente arabizzata nel lessico e scritta in alfabeto arabo modificato, che lentamente diviene anche lingua letteraria, soprattutto a partire dalla prima grande scuola dei poeti della corte samanide di Bukhara (X secolo). A quell'epoca in territori iranici si può dire che gli intellettuali usassero l'arabo per trattare argomenti scientifici e religiosi e il neo-persiano per la poesia e la storiografia. Dal periodo selgiuchide in poi la letteratura neo-persiana si diffuse dalla culla centro-asiatica al resto dei territori iranici occidentali e, in seguito, grazie anche all'immenso prestigio acquistato dai suoi autori, innumerevoli cultori di questa letteratura si troveranno in un'area vastissima, dalla Istanbul ottomana sino alla Delhi dei Moghul.
Questo glossario delle frasi fatte contiene i modi di dire più frequenti nella lingua italiana.
Adapa è un personaggio della mitologia mesopotamica, sacerdote e figlio del dio Ea (l'Enki sumerico), protagonista dell'omonimo mito. Le attestazioni letterarie più antiche risalgono ad un testo babilonese del XIV secolo a.C., rinvenuto in Egitto (Tell El-Amarna), mentre le più recenti provengono dalla biblioteca del re neo assiro Assurbanipal, del VII secolo a.C.. Recentemente è stato rinvenuto un analogo testo negli scavi iracheni di Meturan (Tell Haddad) in lingua sumerica, ma non ancora pubblicato. Secondo il racconto, Adapa ha ricevuto dal padre divino il dono della saggezza, ma non quello della vita eterna. La sua funzione è quella di accudire alla mensa del tempio del dio Ea, di cui è custode e sacerdote, nella città di Eridu (odierna Abu-Shahrain in Iraq), anticamente prospiciente il Golfo Persico, e a tale scopo si dedica quotidianamente alla pesca. In un giorno, però, in acque calmissime, la sua barca viene rovesciata da Šūtu (accadico; sumerico: IM.U18.LU), divinità femminile del Vento del Sud. Adirato Adapa scaglia una maledizione contro la dea e le spezza l'ala (accadico: kappu). L'assenza naturale del vento comporta uno stravolgimento dei cicli vegetali, e dopo sette giorni Adapa viene chiamato al cospetto del dio del Cielo Anu, il quale aveva saputo dal suo messaggero Ilabrat l'accaduto. Il padre di Adapa, il dio Ea, venuto a conoscenza della convocazione da parte di Anu, fa crescere sul capo di Adapa una chioma incolta e gli fa vestire abiti di lutto. Lo consiglia anche di rivolgersi agli dei che risiedono alla porta di Anu, Dumuzi e Ningizzida, lamentando la loro scomparsa sulla terra. Preso a simpatia dalle due divinità, queste intercedono presso il padre degli dèi, Anu, e Adapa si salva dal severo giudizio. Anu gli offre quindi un vestito e dell'olio, tradizionali doni orientali d'ospitalità, e anche il pane l'acqua della vita, che lo avrebbero reso immortale. Adapa accetta i primi doni, ma sempre su consiglio del padre Ea, rifiuta i secondi, mantenendo così la sua natura mortale. Interrogato da Anu sul suo rifiuto, Adapa confessa di aver seguito il consiglio del padre e viene quindi ricondotto sulla terra ma senza che Anu gli doni per sempre la superiorità sugli uomini. La problematica e l'eventuale simbologia che offre il testo sono tutt'altro che chiare, e molte sono le interpretazioni che gli studiosi hanno proposto. Allo stato attuale degli studi ancora in corso gli viene riconosciuta la natura sapienziale, confermata dal termine Apkallu (antico saggio ed esorcista) che la tradizione babilonese gli ha uniformemente attribuito. Mario Liverani suggerisce l'ipotesi che tale mito consenta ai sacerdoti dei templi di comunicare al popolo che essi non si nutrono delle offerte sacrificali e che non dispongono dell'immortalità divina.