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Il Satyricon è un romanzo in prosimetro della letteratura latina, attribuito a Petronio Arbitro (I secolo d.C.). La frammentarietà e la lacunosità del testo pervenuto in età moderna hanno compromesso una comprensione più precisa dell'opera. I manoscritti che tramandano l'opera sono discordanti riguardo al titolo, riportandone diversi: Satiricon, Satyricon, Satirici o Satyrici (libri), Satyri fragmenta, Satirarum libri. È consuetudine, però, riferirsi all'opera di Petronio con il titolo di Satyricon, da intendersi probabilmente come genitivo plurale di forma greca (dov'è sottinteso libri), analogamente ad altre opere del periodo classico (come le Georgiche di Virgilio). Si tratterebbe dunque di "libri di cose da satiri", cioè "racconti satireschi", perché connessi alla figura del satiro. I codici, tuttavia, come si è detto, tramandano come titolo dell'opera anche Satirarum libri, termine che invece farebbe riferimento al genere letterario della satura latina, una forma di poesia legata alla vita quotidiana, con le sue difficoltà e le sue miserie. Entrambe le accezioni del titolo, ad ogni modo, convergono nel definire il genere dell'opera come comico-satirico di contenuto licenzioso.
La Storia di Apollonio re di Tiro (Historia Apollonii regis Tyri) è un'opera della letteratura latina di autore ignoto, composta ipoteticamente tra la fine del II secolo e l’inizio del III secolo d.C.. Il testo si compone di 51 capitoli. Dei tre romanzi latini giunti fino a noi – gli altri sono il Satyricon di Petronio (frammentario) e le Metamorfosi di Apuleio – è il più tardo e l’unico di cui non si possa identificare l’autore.
Il romanzo è un genere della narrativa scritto in prosa. Origini e caratteristiche fondanti del romanzo sono argomento di dibattito tra gli studiosi. Certamente si può affermare che una premessa importante del romanzo moderno è da individuare nella prima produzione in lingua d'oïl (XI secolo): le narrazioni in versi di questa tradizione, sia che recuperassero temi greco-romani sia che rielaborassero temi cavallereschi (cicli bretone e carolingio), venivano indicate già allora con il termine roman. Il principale carattere di novità rispetto alle tradizioni narrative immediatamente precedenti (e al genere epico in particolare, con le sue imprese militari collettive) è il modo diverso di porsi in rapporto col Tempo. Fa parte dell'arte moderna (nominata contemporanea alla nascita del Romanzo) e necessariamente deve contenere quel modo di narrare nuovo e di contrasto con l'arte del passato. La Teoria dell'Estetica di Theodor Adorno si sofferma sull'incompiutezza dell'opera, cioè il suo essere sempre in formazione: mentre gli altri generi epici tendono a fermare il Tempo partendo da un inizio e arrivando a una fine, il Romanzo non ha termine, non mette il punto. Altre caratteristiche stilistiche come il progressivo focalizzarsi dell'attenzione sul singolo individuo o su piccoli gruppi di cavalieri, immersi in vicende che hanno un misto di storico e di "meraviglioso". L'"esperienza assoluta" del cavaliere, irretito nella sua aventure (termine che in francese antico indicava inizialmente solo il destino o il caso e che finisce per indicare il complesso delle peripezie e il perfezionamento etico di chi le attraversa), sviluppa negli scrittori l'esigenza di una narrazione meno ingessata, "capace di rappresentare un mondo complesso e variamente articolata". Il romanzo è dunque costruito da una struttura della storia più o meno complessa e da una varietà di personaggi più o meno ampia. Questa profonda articolazione ha dato vita a numerosi sottogeneri: si passa dal genere storico al fantastico, dal giallo al romanzo epistolare.
La prostituzione nell'antica Roma era legale e autorizzata; anche gli uomini romani di più alto status sociale erano liberi d'impegnarsi in incontri con persone che esercitavano la prostituzione, sia femmine sia maschi, senza alcun pericolo d'incorrere nella disapprovazione morale. Tutto questo purché avessero dimostrato autocontrollo e moderazione nella ricerca del piacere sessuale. Allo stesso però le prostitute cadevano nella vergogna sociale; la maggior parte di loro erano schiave o ex schiave (liberti) o, se di nascita libera come cittadini romani erano stati relegati alla condizione di infamia, persone cioè totalmente mancanti di qualsivoglia posizione sociale e deprivate della maggior parte delle protezioni concesse a chi possedeva i requisiti di cittadinanza dal diritto romano; status questo condiviso dai gladiatori e da chi lavorava nel teatro latino, ossia gli attori i quali però a loro volta esercitavano un certo fascino sensuale. Alcuni tra i più grandi bordelli nel IV secolo, quando l'impero romano si convertì ufficialmente al cristianesimo, sembrano esser stati visitati in qualità di attrazioni turistiche dopo essere stati incamerati tra le proprietà dello stato. La Letteratura latina fa spesso riferimento più o meno esplicito all'esercizio della prostituzione. Alcuni storici, come ad esempio Tito Livio e Tacito menzionano certe prostitute che erano riuscite ad acquisire col tempo un certo grado di rispettabilità attraverso atti patriottici o la pratica dell' evergetismo. La classe più alta di meretrici, la cortigiana accompagnatrice, è un personaggio tipo presente già nella commedia di Tito Maccio Plauto, che è stata a sua volta ampiamente influenzata dai modelli greci. Le poesie di Catullo, Orazio, Ovidio, Marziale e Giovenale, nonché il Satyricon di Petronio Arbitro, offrono scorci di satira sulla realtà quotidiana in cui erano costrette a vivere le prostitute; oltre ad esser documentate dalle disposizioni di diritto romano che regolavano la prostituzione e dalla varietà di iscrizioni ritrovate, in particolare i graffiti di Pompei antica. L'arte erotica a Pompei e Ercolano, proveniente soprattutto dagli scavi archeologici di Pompei, comprende anche la vita nel bordello ed ha con ciò anche contribuito all'evoluzione delle opinioni scientifiche in materia di prostituzione.
Gaio Petronio Arbitro (in latino: Gaius Petronius Arbiter; Massilia, 27 – Cuma, 66), conosciuto anche semplicemente come Petronio, è stato uno scrittore e politico romano del I secolo.
La Fabula Milesia (in greco antico: Μιλησιακά, Milēsiaká e Μιλησιακοί λόγοι, Milēsiakoí lógoi, «Storie milesie») di Aristide di Mileto è una raccolta di novelle perduta, le cui storie, secondo le testimonianze antiche, erano a sfondo erotico.Pur mancando del tutto dati biografici dell'autore e riferimenti cronologici all'epoca di composizione, si tende a collocare l'opera tra la fine del II e l'inizio del I secolo a.C., ponendo l'attività dell'autore, in modo congetturale, tra il 126 e il 90 a.C.