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Autore principale: Targioni Tozzetti, Giovanni <1863-1934>
Pubblicazione: Firenze : Sansoni, [1907]
Tipo di risorsa: testo, Livello bibliografico: monografia, Lingua: ita, Paese: IT
Il canto ventitreesimo dell'Inferno di Dante Alighieri si svolge nella sesta bolgia dell'ottavo cerchio, ove sono puniti gli ipocriti; siamo nel mattino del 9 aprile 1300 (Sabato Santo), o secondo altri commentatori del 26 marzo 1300. Il canto chiude, dopo i due precedenti (XXI e XXII), l'episodio della bolgia dei barattieri, dove Dante e Virgilio assistono alle peripezie di un gruppo di diavoli (i Malebranche), assegnati loro malgrado come scorta non richiesta. L'episodio è caratterizzato da uno stile prettamente comico, con un ritmo veloce e numerosi personaggi, chiaro esempio della duttilità poetica di Dante. La seconda parte di questo canto poi è dedicata, con tutt'altro tono ed atmosfera, alla bolgia degli ipocriti, prima del finale a sorpresa che torna su uno stile più canzonatorio e chiude degnamente il brano dei diavoli della bolgia precedente.
I cerchi dell'Inferno sono corone circolari concentriche e sovrapposte nelle quali Dante Alighieri, nella sua opera della Divina Commedia, immagina sia suddiviso l'Inferno, che egli descrive nell'omonima prima cantica. Essi sono nove, in ciascuno dei quali vengono puniti coloro che in vita si sono macchiati di un ben definito tipo di peccato. La suddivisione in nove rimanda al pensiero aristotelico-tomistico. La visione del proprio viaggio nell'oltretomba da parte dell'autore contiene la descrizione dell'Inferno da lui immaginato nel canto XI. Prima di accedere ai cerchi veri e propri incontriamo la Selva e il Colle dove Dante si viene a trovare smarrito «nel mezzo del cammin di nostra vita, un momento di "sonno"»: dietro questo colle si trova la città di Gerusalemme, sotto alla quale s'immagina scavata l'immensa voragine dell'Inferno. Vi entra quindi attraverso la Porta dell'Inferno e penetra così nell'Antinferno. Superando il fiume Acheronte sulla barca di Caronte, entra infine nell'Inferno vero e proprio.
L'Inferno è la prima delle tre cantiche della Divina Commedia di Dante Alighieri, corrispondente al primo dei Tre Regni dell'Oltretomba dove regna Lucifero (che originariamente significava «angelo della luce») e il primo visitato da Dante nel suo pellegrinaggio ultraterreno, viaggio destinato a portarlo alla Salvezza. Il mondo dei dannati, suddiviso secondo una precisa logica morale derivante dall'Etica Nicomachea di Aristotele, è frutto della somma e della sintesi del sapere a lui contemporaneo. L'inferno dantesco è il luogo della miseria morale in cui versa l'umanità decaduta, privata ormai della Grazia divina capace di illuminare le azioni degli uomini. Le successive cantiche sono il Purgatorio ed il Paradiso.
Il canto ventesimo dell'Inferno di Dante Alighieri si svolge nella quarta bolgia dell'ottavo cerchio, ove sono puniti gli indovini e i maghi; siamo all'alba del 9 aprile 1300 (Sabato Santo), o secondo altri commentatori del 26 marzo 1300. Dante, dopo una descrizione generale, indica tra i peccatori, attraverso le parole di Virgilio, cinque indovini antichi (quattro dei quali mitologici) e tre moderni. Durante la presentazione dell'indovina Manto c'è una lunga digressione sulle origini di Mantova.
Barbariccia è un diavolo inventato da Dante Alighieri, che lo inserisce tra i Malebranche, la diabolica truppa di demoni protagonista di un curioso episodio dell'Inferno (Canti XXI, XXII e XXIII). Essi creano con le loro grottesche figure una parentesi dallo stile tipicamente comico che è molto rara nell'opera dantesca e rappresenta una preziosissima testimonianza di come il grande poeta sapesse adattare con duttilità la sua poesia ai più svariati generi. Il suo nome ha un'etimologia chiarissima e raffigura sinteticamente un aspetto trasandato, come anche il nome di Scarmiglione. Per la prima volta Barbariccia viene nominato dal capo dei diavoli Malacoda il quale lo chiama assieme ad altri nove demoni (dieci in tutto) per accompagnare Dante e Virgilio come scorta - non richiesta - per un tratto della bolgia fino a un passaggio su un ponte che poi si scoprirà inesistente. Egli viene chiamato poi con vari nomi a parodia di un vero capo militare di questa sguaiata truppa di diavoli (duca, decurio, gran proposto). Famoso è il verso che indica come Barbariccia si appresti a dare il segno dell'Avanti marsc' ai diavoli: Una laconica e buffa metafora che chiude il canto XXI su come il suono del peto sia in questo caso equivalente a quello delle trombe delle bande militari (sulle quali insisterà poi Dante, fintamente stupito, nelle prime terzine del canto XXII). Durante il tragitto Barbariccia guida gli altri, infatti al suo passaggio i dannati immersi nella pece ritraggono immediatamente la testa che avevano estratto per sollievo, proprio come fanno le ranocchie in uno stagno al passaggio di un serpente. Come Malacoda, essendo a capo degli altri, fa alcune azioni per frenarli e tenere ordine, come quella di bloccare gli altri diavoli quando viene pescato il dannato Ciampolo di Navarra. Essi vorrebbero dilaniarlo con gli uncini subito, ma Dante e Virgilio vorrebbero fargli prima alcune domande, per cui gli istinti animaleschi dei diavoli devono essere tenuti a freno. Non è ben chiaro cosa faccia Barbariccia per fermare Ciriatto che avvicinava le sue zanne di porco al dannato: Dante dice che "il chiuse con le braccia / e disse: "State 'n là, mentr'io lo 'nforco", cioè lo abbracciò prima di infilzarlo lui direttamente oppure lo "recintò" cioè fece schermo con le braccia proteggendolo dagli altri. La prima ipotesi è quella più consona al senso letterario delle parole, secondo il loro uso più frequente, mentre la seconda si adatta meglio al senso dell'episodio, non venendo più citato questo "abbraccio" quando per esempio Ciampolo si libererà tuffandosi impaurito nella pece. Addirittura qualcuno al verbo inforcare farebbe corrispondere l'atto di Barbariccia di saltarli in groppa come si fa sui cavalli cingendolo con le cosce, anche se questo sembra piuttosto improbabile per come si sviluppa l'episodio; anche il fatto di "inforcare" con gli uncini però non è chiaro se si pensa che subito dopo egli invece di punire il dannato esorta Virgilio a fargli altre domande. Poco dopo blocca Libicocco e Draghignazzo con una sola occhiata quando iniziano a colpire di uncino il povero dannato; poi deve frenare anche un assalto di Farfarello, che stralunava gli occhi impaurendo il Navarrese al punto di non farlo riuscire più a parlare: "Fatti 'n costà, malvagio uccello!" (XXII, v. 96), gli urla. Infine Barbariccia è quello che organizza il ripescaggio di Alichino e Calcabrina rotolati nella pece dopo essersi azzuffati e cotti fino dentro alla crosta.
Alla domanda da dove inizi veramente la poesia italiana del Novecento, molti critici letterari hanno dato differenti e contrastanti risposte in virtù, o a causa, della difficoltà nel tracciare una linea netta di demarcazione. Tuttavia la predominanza dei temi dell'Io, nell'intimismo di Giovanni Pascoli e nell'estetismo di Gabriele D'Annunzio segnarono un irreversibile cambiamento rispetto alla poesia "pubblica" e dichiarativa di Giosuè Carducci. La nuova poesia viene situata, perciò, da una parte della critica letteraria, nell'area che accoglie il linguaggio e i temi del decadentismo influenzato da entrambe le grandi figure del passaggio di secolo italiano. Più tardi le esperienze crepuscolari di Guido Gozzano, da un lato, e le opposte dei futuristi proseguono, accentuandole nella sperimentalità le due vie personaliste di Pascoli e D'Annunzio, identificando così una linea separatrice di frattura con la passata tradizione letteraria sia dal punto di vista delle tematiche, sia del linguaggio. La maggior parte della critica (secondo il criterio seguito fino alla fine degli agli anni cinquanta) stabilirà gli elementi innovativi della poesia del Novecento a partire da Giuseppe Ungaretti, seguendo una linea che condurrebbe dai "vociani" all'apertura della grande stagione degli "ermetici". E certamente è centrale nel cuore del '900 la vicenda dell'ermetismo segnata da figure di livello mondiale come Giuseppe Ungaretti ed Eugenio Montale. Altri ermetici importanti: Alfonso Gatto e Mario Luzi. Più appartata la scrittura di Corrado Govoni come, più tardi, le maggiori figure di Umberto Saba e Sandro Penna e con il suo musicale rimario Giorgio Caproni. Tra i temi più significativi della poesia del secondo Novecento, pur nell'estrema varietà che la caratterizza, è opportuno menzionare invece l'impegno sia etico sia civile, che nasce anche dalla meditazione dei mali e degli orrori della prima e soprattutto della seconda guerra mondiale; è prioritario riferirsi a Pier Paolo Pasolini, ad Edoardo Sanguineti a Roberto Roversi. Andrea Zanzotto autore di straordinaria cultura e intensa compartecipazione alla vicenda umana e al segno del decadere dell'ambiente, è stato un punto di contatto fra le maggiori figure del secolo. Salvatore Quasimodo, assurto a fama internazionale per l'assegnazione del Nobel, che più tardi andrà anche a Montale, attraversò diverse tonalità, dal lirismo classicheggiante ad un neorealismo di chiara testimonianza politica. Meno note ma certamente significative le figure di Elio Fiore e alla fine del Novecento di Gregorio Scalise e Davide Ferrari partiti da un riferimento alle avanguardie degli anni '60 e '70, poi capaci di svolgere una vena di più intensa riflessione sulle grandi prove della storia. Vicini a Pasolini, Dario Bellezza e Paolo Volponi; a Sanguineti, Elio Pagliarani, Nanni Balestrini e Giuseppe Guglielmi; ed a Saba, sia pure con un maggiore inserimento nel linguaggio poetico novecentesco, Giovanni Giudici. Autrice di continua produzione poetica, sempre legata all'immediata narrazione di un animo profondamente segnato dalle esperienze di vita, Alda Merini, poetessa particolarmente amata anche dal pubblico più vasto. Oggi la poesia italiana cade in una profonda crisi editoriale e di attenzione da parte del pubblico e, pur l'Italia il paese con il maggior numero di edizioni di genere, è il paese europeo dove si acquistano meno volumi di poesia in Europa. Segnaliamo la poesia di strada, come movimento di rinnovamento, contemporaneo e di rilancio per il grande pubblico della poesia italiana.
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