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Autore principale: Crispolti, , Virgilio
Pubblicazione: Prato : F.lli Rindi, 1922
Tipo di risorsa: testo, Livello bibliografico: monografia, Lingua: ita, Paese: IT
Cesare Guasti (Prato, 4 settembre 1822 – Firenze, 12 febbraio 1889) è stato uno scrittore e filologo italiano.
Prato è un comune italiano di 193 809 abitanti, capoluogo dell'omonima provincia in Toscana. È la seconda città della Toscana per popolazione. Fino al 1992, anno della costituzione dell'omonima provincia, è stato il comune non capoluogo di provincia più popolato d'Italia. La piana pratese fu abitata fin dall'epoca etrusca, ma la nascita della città vera e propria si fa risalire, generalmente, al X secolo, quando si hanno notizie di due centri abitati contigui ma distinti, Borgo al Cornio e Castrum Prati, che si fusero durante il secolo successivo. Nell'economia pratese la produzione tessile ha sempre svolto un ruolo di primissimo piano fin dall'epoca medievale, come testimoniano i documenti del mercante Francesco Datini, ma è nell'Ottocento che Prato vide un impetuoso sviluppo industriale, che ne fa ancora oggi uno dei distretti più importanti a livello europeo. La città vanta attrattive storico-artistiche di grande rilievo, con un itinerario culturale che inizia dagli Etruschi per poi ampliarsi nel Medioevo e raggiungere l'apice con il Rinascimento, quando hanno lasciato le loro testimonianze in città artisti come Donatello, Filippo Lippi e Botticelli.
Viene indicato come sacco di Prato l'assalto alla città toscana da parte dell'esercito spagnolo guidato da Raimondo de Cardona avvenuto 29 agosto 1512. Vi trovarono la morte circa 6000 cittadini pratesi, molti altri subirono violenze o furono ridotti in prigionia. L'occupazione durò dal 29 agosto fino alla seconda metà di settembre del 1512. Fu un fatto di notevole importanza, non tanto per la misura della strage, che pure fu una delle più crude del secolo in Italia, quanto perché, come prova di forza contro la vicina Firenze repubblicana e ribelle ai Medici, fu il preludio di avvenimenti che determinarono le sorti di una delle più ricche e potenti repubbliche dell'epoca in Italia.
Giovanni da Prato (Prato, ... – 6 marzo 1515) è stato un vescovo cattolico italiano. Incerto il vero nome di battesimo. Nominato, negli atti comunali di Prato semplicemente come Giovanni di Domenico da Prato, in vari altri documenti ecclesiastici viene chiamato Giovanni Vittorio di Domenico da Prato e non è neppure chiara la sua appartenenza familiare. Secondo alcuni era della famiglia dei Trombetta, secondo altri dei Dagomari. Ma la confusione a proposito di Giovanni da Prato non riguarda solo il suo nome e cognome. Non è sicuro neppure se sia o non sia lui quel Giovanni da Prato chiamato da Lorenzo il Magnifico a fare da tutore ai figli Piero e Giovanni anche se numerosi indizi lo indicherebbero come tale. Ultimo qui pro quo su Giovanni da Prato è l'ordine religioso al quale apparteneva. Ferdinando Ughelli tramandò che fosse benedettino e allora altri storici, basandosi sull'Ughelli, lo riportarono come tale quando invece era francescano e dell'ordine dei frati minori conventuali. Di sicuro fu lettore di Fisica all'Università di Pisa nel 1484, fu confessore e cappellano del cardinale Guillaume d'Estouteville, detto il Cardinale Rotomagense, fu penitenziere di Aquitania, e il 7 marzo 1504 venne nominato da Giulio II, del quale era pure confessore, vescovo dell'Aquila. Per le turbolenze politiche del periodo, il 1º giugno 1506, lasciò fisicamente la diocesi, ma non il titolo di vescovo, con la scusa di dover curare degli affari personali in Lombardia e Veneto. Alla fine del 1507 ritornò in Toscana come da «due lettere del Comune di Prato a lui, piene di devozione e di benevolenza: e i cittadini onoraronlo e donaronlo quando venne a Prato l'ultimo di dicembre 1507; come attesta un'epigrafe esistente nella chiesa di S. Francesco, ch' egli consacrò il 15 di gennaio dell'anno seguente». Una settimana dopo passò a Montevarchi dove «avendo seco il Capellano, il nipote, due Servitori, il barbiere, lo staffiere ed il vetturale con sette cavalcature» rimase cinque giorni per inaugurare i rifacimenti della chiesa annessa al monastero di San Ludovico. Nel 1515 papa Leone X lo sciolse dalla diocesi dell'Aquila e lo fece vescovo, in partibus, di Tebe. Ma Giovanni morì pochi giorni dopo. Restano nel laurenziano codice XX -plut. 47- tre lettere ad Joannem Pratensem scritte da Poggio Bracciolini pubblicate poi a Parigi nel 1723 in calce all'opera di Poggio De varietate fortunae.
Francesco di Marco Datini (Prato, 1335 – Prato, 16 agosto 1410) è stato un mercante italiano, detto spesso il Mercante di Prato. La sua importanza è legata al ricchissimo archivio di lettere e registri da lui lasciato e ritrovato nel XIX secolo in una stanza segreta del suo Palazzo e che oggi consente di analizzare compiutamente la vita e gli affari di un mercante operante nella seconda metà del XIV secolo. A causa del notevole numero di lettere di cambio presente in tale archivio, egli è generalmente ritenuto l'inventore dell'assegno; secondo alcuni studiosi del periodo storico in cui visse, risulterebbe invece più corretto riconoscergli un largo uso, unico per l'epoca e quindi moderno, della lettera di cambio, piuttosto che attribuirgliene l'invenzione vera e propria. È a lui attribuita l'invenzione del sistema di aziende. A questo proposito, molti ritengono che la lettera di cambio fosse l'antenata della cambiale: in realtà tale lettera permetteva al possessore di ricevere, presso una banca designata sulla lettera, l'equivalente della somma indicata nella lettera. Tale funzione si addice più propriamente ad un assegno. A fine Trecento nella corrispondenza commerciale di Francesco Datini appare il segno della @ commerciale, volgarmente definita come chiocciola (segno).
Il prato di Bežin (in russo: Бежин луг?, traslitterato: Bežin lug) è un film sovietico del 1937 diretto da Sergej Michajlovič Ėjzenštejn e noto per essere stato in gran parte distrutto prima di essere terminato. Il film narra le vicende di un giovane contadino che cerca di opporsi al proprio padre che ha l'intenzione di tradire il governo sovietico sabotando il raccolto dell'anno. La pellicola termina con l'assassinio del giovane seguito da una sommossa popolare. Il titolo è il medesimo di un racconto di Ivan Sergeevič Turgenev, e nelle intenzioni originali del regista doveva incorporare alla novella la vicenda della vera vita di Pavlik Trofimovič Morozov, ritenuto dalla propaganda un martire sovietico per essere stato ucciso dai suoi familiari nel 1932, reo di aver denunciato alle autorità il padre per tradimento. Tuttavia in fase di sceneggiatura Ejzenštejn decise di eliminare tutti i riferimenti allo scritto di Turgenev ad eccezione del titolo. La figura di Morozov venne inserita nei programmi scolari russi e resa mitica attraverso la poesia, la musica e, in parte, da questo film. Commissionato da un gruppo di giovani comunisti, la produzione si protrasse dal 1935 al 1937, finché non venne bloccata dal governo centrale che riteneva contenesse errori di carattere artistico, sociale e politico. Alcuni presero quest'occasione per denunciare l'ingerenza politica sul cinema arrivando a criticare lo stesso Stalin e un certo numero di persone venne arrestato proprio in conseguenza agli eventi che seguirono il blocco del film. Tuttavia lo stesso Ejzenštejn, riconsiderando in seguito la sua opera, la valutò come un errore. Per molto tempo si è creduto che il girato di Il prato di Bežin fosse andato irrimediabilmente perduto durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Tuttavia negli anni Sessanta vennero ritrovati una parte del montaggio e alcuni fotogrammi. A partire da questi frammenti venne intrapresa una ricostruzione basata sulla sceneggiatura originale, rimasta conservata. Il ricco simbolismo religioso dell'opera diede origine a un ampio numero di studi, ma la sua natura storica, le circostanze della sua produzione, il fallimento del progetto e la bellezza dei pochi frammenti rimasti nutrirono un grande interesse anche al di fuori della letteratura specialistica. La controversa storia di questa pellicola non nocque al regista che al contrario guadagnò in fama e divenne il direttore artistico del grande studio cinematografico Mosfil'm.
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