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Autore principale: Ivanji, Ivan
Pubblicazione: Firenze : Giuntina, 2001
Tipo di risorsa: testo, Livello bibliografico: monografia, Lingua: ita, Paese: it
I bambini di Buchenwald sono un gruppo di 904 bambini e adolescenti sopravvissuti al campo di concentramento di Buchenwald. La maggior parte di loro si salvarono grazie alla solidarietà di alcuni prigionieri più anziani che si organizzarono per la loro salvezza, riuscendo a proteggerli fino alla Liberazione. Tra i bambini sopravvissuti c'erano anche Elie Wiesel, Imre Kertész, Yisrael Meir Lau, David Perlmutter, Izio Rosenman, Thomas Geve, Gert Schramm (il più giovane prigioniero di colore del campo) e i piccoli Stefan Jerzy Zweig e Joseph Schleifstein.
Il campo di concentramento di Buchenwald, istituito nel luglio 1937, fu uno fra più grandi campi della Germania nazista. Prende il nome dall'omonima località, sulla collina dell'Ettersberg, a circa otto chilometri da Weimar, nella regione della Turingia, nella Germania orientale. Fu costruito su una collina ricoperta di una fitta estensione di alberi di faggio (Buchenwald significa letteralmente "bosco di faggi"). Tra il 1937 e il 1945 il KL di Buchenwald divenne uno dei più importanti campi di concentramento e sterminio, nonostante i suoi piccoli inizi. Il 16 luglio 1937, infatti, «un commando di circa 300 deportati, provenienti dal disciolto campo di concentramento di Lichtenburg, presso Lipsia, eresse, con attrezzi primitivi ed insufficienti, le prime baracche del campo di Buchenwald, ricavando il legname dalla foresta di Ettersberg, foresta che fu a suo tempo prediletta da Johann Wolfgang von Goethe» (le SS lasciarono in piedi l'"albero di Goethe", sotto il quale il grande poeta amava stare per scrivere le sue opere, all'interno di Buchenwald). Dopo la sua espansione fu internato in questo campo un totale di circa 238 980 persone provenienti da trenta nazionalità diverse. Fu tra i lager dove si attuò principalmente lo sterminio tramite il lavoro. Il numero complessivo delle vittime fu di 43 045, secondo alcune fonti, di 56 554 secondo altre, fra le quali 11 000 ebrei. La fama negativa di Buchenwald è inoltre legata a numerosi particolari che si diffusero molto prima della fine della guerra, tra i quali gli esperimenti medici sui prigionieri, la presenza tra gli internati della principessa d'Italia, i fatti legati a Ilse Koch (la strega di Buchenwald), facendone uno dei luoghi più inquietanti e spaventosi della Germania nazista.
La notte è un romanzo autobiografico di Elie Wiesel (Eliezer Wiesel) che racconta le sue esperienze di giovane ebreo ortodosso deportato insieme alla famiglia nei campi di concentramento di Auschwitz e Buchenwald negli anni 1944-1945, al culmine dell'Olocausto, fino alla fine della seconda guerra mondiale. In poco più di 100 pagine di narrazione frammentaria Wiesel descrive come l'orrore vissuto nei campi di concentramento e di sterminio gli abbia fatto perdere la fede in Dio e nell'umanità; tale perdita si riflette nell'inversione dei ruoli padre-figlio, poiché egli, da adolescente, dovrà badare a suo padre, divenuto via via più debole, fino alla morte. "Se solo potessi sbarazzarmi di questo peso morto [...] Immediatamente mi vergognai di me stesso, per sempre". Nel racconto, ogni cosa viene invertita, ogni valore distrutto. "Qui non ci sono padri, fratelli, amici", gli disse un Kapo. "Ognuno vive e muore in solitudine". Wiesel aveva 16 anni quando Buchenwald venne liberata dagli Alleati nell'aprile 1945, troppo tardi per suo padre, che era morto a causa delle percosse subite, mentre egli assisteva impotente e silenzioso nel letto a castello per paura di essere a sua volta colpito. Per la perdita di fiducia in Dio e nell'umanità, Wiesel non volle parlare della sua esperienza per 10 anni. Nel 1954 Wiesel scrisse un manoscritto di 865 pagine in yiddish, pubblicato poi in una versione di 245 pagine con il titolo און די וועלט האט געשוויגן Un di Velt Hot Geshvign ("E il mondo rimase in silenzio"), quando a Buenos Aires, il romanziere francese François Mauriac lo persuase a scrivere per un pubblico più vasto.Anche con l'aiuto di Mauriac, trovare un editore non fu una cosa semplice perché il libro era ritenuto troppo morboso. Venne comunque pubblicato nel 1958 in Francia in una versione di 178 pagine con il titolo la Nuit, e nel 1960 negli Stati Uniti in una seconda versione di 116 pagine intitolata The Night. A distanza di cinquanta anni il libro è stato tradotto in 30 lingue, ed è considerato, accanto a Se questo è un uomo di Primo Levi e al Diario di Anna Frank, come uno dei capolavori della letteratura sull'Olocausto. Ma a differenza di questi testi, non è palese quanto del racconto di Wiesel sia autobiografico. Gli studiosi ebbero delle difficoltà nel capire la sua opera nuda e cruda. Il critico letterario statunitense Ruth Franklin scrisse che la traduzione spietata del testo dall'yiddish al francese trasformò un'opera rabbiosa in un capolavoro.La notte è il primo libro di una trilogia – La notte, L'alba e Il giorno – che riflette lo stato d'animo di Wiesel durante e dopo l'Olocausto. Il titolo rimarca la transizione dall'oscurità alla luce, secondo la tradizione ebraica di considerare l'inizio di un nuovo giorno il calar della notte. Ne La notte, egli dice, "voglio far vedere la fine, la finalità del tragico evento. Ogni cosa va verso la fine – l'uomo, la storia, la letteratura, la religione, Dio. Non c'è più nulla. Eppure noi ricominceremo con la notte."
Eliezer Wiesel, detto Elie (Sighetu Marmației, 30 settembre 1928 – New York, 2 luglio 2016), è stato uno scrittore, giornalista, saggista, filosofo, attivista per i diritti umani e professore rumeno naturalizzato statunitense, di origine ebraica e poliglotta, nato in Romania e superstite dell'Olocausto. È stato autore di 57 libri, tra i quali La notte, resoconto autobiografico in cui racconta la sua personale esperienza di prigioniero e superstite nei campi di concentramento di Auschwitz, Buna e Buchenwald. Wiesel è stato anche membro dell'Advisory Board del giornale Algemeiner Journal. Quando Wiesel fu insignito del premio Nobel per la pace nel 1986, il Comitato Norvegese dei Premi Nobel lo chiamò il “messaggero per l'umanità”, affermando che attraverso la sua lotta per venire a patti con "la sua personale esperienza della totale umiliazione e del disprezzo per l'umanità a cui aveva assistito nei campi di concentramento di Hitler", così come il suo “lavoro pratico per la causa della pace", Wiesel aveva consegnato un potente messaggio di “pace, di espiazione e di dignità umana” alla stessa umanità.
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