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Pubblicazione: Firenze : Piagge, 2017
Tipo di risorsa: testo, Livello bibliografico: monografia, Lingua: ita, Paese: IT
Il lessico di una lingua è l'insieme delle parole della lingua stessa: queste sono raccolte con i loro significati all'interno del dizionario. L'unità fondamentale per lo studio del lessico è il lessema, ovvero ogni minima unità linguistica avente un significato autonomo al quale si possono ricondurre tutte le flessioni di nomi, aggettivi e di tutte le classi di parole variabili. Il lessico è inoltre lo strato più esterno di una lingua perché è più esposto al contatto con le altre lingue, per questo motivo è in costante movimento e cambiamento. Secondo i dizionari attuali, i lessemi dell'italiano oscillano tra i 200.000 e i 250.000. Se invece prendiamo come unità di misura le parole, il numero sale molto; la differenza si spiega facilmente tenendo conto che ciascun nome ha di norma due forme, gli aggettivi fino a quattro, l'articolo determinativo ne ha sei, i verbi una decina ecc. Possiamo dunque affermare che il numero delle parole italiane ammonta a circa 2 milioni (Lorenzetti 2002, cap. 3.2).
Il lessico (o vocabolario) è il complesso delle parole e delle locuzioni di una lingua (ad esempio, il lessico italiano, il lessico greco), oppure anche solo una parte di tale complesso, come, ad esempio, l'insieme delle parole e delle locuzioni proprie di un settore del sapere umano ("il lessico della zoologia", "il lessico giuridico") o di un'attività umana ("il lessico sportivo", "il lessico politico"), oppure l'insieme delle parole e delle locuzioni utilizzate da una particolare collettività ("il vocabolario dei poeti ermetici"), o in una particolare epoca ("il lessico del Seicento"), o in una particolare opera ("il lessico della Divina commedia"), o da un particolare scrittore ("il lessico di Leopardi"), oppure l'insieme delle parole e delle locuzioni utilizzate o comprese da uno specifico parlante. I termini "lessico" e "vocabolario" sono sinonimi, ma l'uso del termine "vocabolario" prevale in riferimento a collettività o a singole persone.
Durante la seconda guerra mondiale i bambini, sia maschi che femmine, furono frequentemente protagonisti di eventi insurrezionali, nonché arruolati (volontariamente, coercitivamente o perché mentivano sulla propria età) da parte sia delle potenze dell'Asse e dagli Alleati, che da altri stati belligeranti e da gruppi ebraici. Erano dediti a servizi di vario tipo sia in luoghi non oggetto di combattimento diretto che nelle retrovie, fino ad essere impiegati in azioni belliche. La tutela dell’infanzia era solo agli albori. In sistemi sociali nei quali lo sfruttamento minorile era consuetudine e non eccezione, agli occhi delle generazioni passate la partecipazione di fanciulli ad azioni belliche, sebbene rivestisse carattere di assoluta emergenza, poteva svolgere una funzione di riscatto sociale. Bambini di tutte le parti in conflitto furono nel contempo vittime ed attori a diversi livelli nelle alterne fasi della guerra. Dopo il termine della guerra, una coltre di imbarazzato silenzio cadde su queste vicende, raramente evocate con pudore dai protagonisti (ad esempio il cancelliere tedesco Helmut Kohl).
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