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Titolo uniforme: Scuola di maglia
Maglie (Màje in dialetto salentino; Μάḍḍιαι, Màḍḍie o anche Màje in griko) è un comune italiano di 13 812 abitanti della provincia di Lecce in Puglia. Situato in posizione nodale per il medio-basso Salento, 29 km a sud del capoluogo provinciale, è un importante centro stradale, ferroviario, scolastico, economico e culturale. Dista 19 km da Otranto, 31 km da Gallipoli e 42 km da Santa Maria di Leuca, punto più meridionale della penisola salentina. Comprende anche la piccola frazione di Morigino.
L'uncinetto è un attrezzo costituito da un bastoncino munito a un'estremità di un uncino che serve per prendere e guidare il filo nelle lavorazioni all'uncinetto delle arti tessili. Oggi sono fatti a macchina, normalmente in metallo (alluminio e acciaio) o plastica, ma possono essere anche in legno e persino in avorio. Hanno numerose dimensioni, determinate secondo l'International Standard Range (ISR), e vanno da 0,60 mm di diametro per cotone fine a 10 mm per filato molto grosso. Ce ne sono per i lavori che richiedono uncinetto molto fine, anche da 0,55 mm. In altre parti del mondo viene usato un sistema di numerazione differente. Dal momento che, a differenza del ferro per il lavoro a maglia, l'uncinetto non deve reggere i punti ma solamente l'occhiello di lavorazione, hanno tutti una lunghezza standard di circa 20 cm. Esistono poi gli uncinetti per punto Tunisi lunghi 30 cm. L'uncinetto di solito è schiacciato al centro per una migliore impugnatura.
La chippà (o, con grafia francese chéchia, it. scescia, in arabo: ﺷﺎﺷﻴـة, shāshiyya) è un copricapo maschile indossato da numerose popolazioni del mondo islamico. In particolare, si può considerare il copricapo nazionale della Tunisia. La chippà è in origine un berretto a forma di semplice calotta. La tradizione attribuisce l'origine della sua fabbricazione a Qayrawan, nel secondo secolo dell'Egira. Il suo nome però è un aggettivo sostantivato derivato da Shash (nome dell'odierna Tashkent in Uzbekistan). Di forma cilindrica e solitamente di colore rosso vermiglione, la chippà venne importata, nella sua forma attuale, dai mori espulsi dall'Andalusia dopo la conquista di Granada nel 1492. Stabilendosi in Tunisia, loro nuova patria, vi importarono l'artigianato della shashia. Confezionata da esperti artigiani (shawashi), la shashia giunse ben presto ad occupare tre interi suq della medina (città vecchia) di Tunisi. Il suo successo è tale che dà lavoro a migliaia di persone. Viene esportata in Algeria, Marocco e in Sudan, ma anche nel Vicino Oriente e fin nel cuore dell'Asia. La shashia tradizionale è fatta di lana pettinata, lavorata a maglia dalle donne che fabbricano le calotte kabbous. Questi berretti vengono poi inviati alla follatura: vengono intrisi di acqua calda e di sapone e gli uomini li pigiano coi piedi per infeltrirli, a tal punto che le maglie del tessuto finiranno quasi per sparire. Viene quindi il trattamento della pettinatura con cardi, per trasformare il feltro in un velluto lanuginoso. Sempre più spesso, però, il cardo viene sostituito da una spazzola metallica. È in questa fase della lavorazione che la shashia viene tinta del suo caratteristico rosso vermiglione, anche se ormai capita di trovarne anche di vari colori. A partire dagli anni Venti, gli indipendentisti tunisini portano sempre più spesso la shashia testouriyya (originaria di Testour) perché il suo nome ricordava quello del loro partito (Destour).
La pietra leccese (in dialetto salentino leccisu) è una roccia calcarea appartenente al gruppo delle calcareniti marnose e risalente al periodo miocenico. È un litotipo tipico della regione salentina, noto soprattutto per la sua facilità di lavorazione. Questa roccia ha una composizione piuttosto omogenea: l'esame petrografico rivela che è costituita principalmente da carbonato di calcio (CaCO3) sotto forma di granuli di calcare (costituito da microfossili e frammenti di macrofossili di fauna marina, risalenti a circa sei milioni di anni fa) e di cemento calcitico, a cui accessoriamente si possono trovare glauconite, quarzo, vari feldspati e fosfati, oltre a sostanze argillose finemente disperse (caolinite, smectite e clorite), che, nelle diverse miscele, danno origine a differenti qualità della roccia. La pietra leccese affiora naturalmente dal terreno e si estrae dal sottosuolo in enormi cave a cielo aperto, profonde fino a cinquanta metri e diffuse su tutto il territorio salentino, in particolare nei comuni di Lecce, Corigliano d'Otranto, Melpignano, Cursi e Maglie. Il leccisu viene ricavato in forma di parallelepipedi di varia dimensione; l'estrazione è semplice poiché si lascia incidere facilmente. Durezza e resistenza della pietra, una volta estratta, crescono con il passare del tempo, e nella consolidazione la pietra assume una tonalità di colore ambrato simile a quella del miele. Di colore dal bianco al giallo paglierino, la roccia si presenta compatta e di grana fine, a differenza del carparo, altro litotipo affine rinvenibile nella stessa zona. Utilizzata sia in campo architettonico che scultoreo, la pietra leccese deve la sua particolare lavorabilità alla presenza di argilla, che permette un modellamento al tornio e persino manuale. Apprezzata in campo artistico, ha raggiunto stima internazionale grazie all'artigianato locale che nel corso dei secoli ha prodotto la complessa architettura del Barocco leccese. Esempi significativi sono i fregi, i capitelli, i pinnacoli e i rosoni che decorano molti dei palazzi e delle chiese di Lecce, come ad esempio il palazzo dei Celestini e l'adiacente Chiesa di Santa Croce, la Chiesa di Santa Chiara e il Duomo. La natura stessa della pietra la rende molto sensibile all'azione meccanica degli agenti atmosferici, all'umidità di risalita del terreno, alla stagnazione di acqua e allo smog. Per rendere il leccisu più resistente alle intemperie, i maestri scultori dell'epoca barocca usavano trattare la roccia con del latte. Il blocco di pietra leccese veniva spugnato o immerso interamente nel liquido; il lattosio, penetrando all'interno delle porosità, creava uno strato impermeabile che preservava la pietra fino a portarla, quasi inalterata, ai giorni nostri. Nota sin dall'antichità, nella Terra d'Otranto si ritrovano dolmen, menhir, statue e costruzioni romane fabbricati in leccisu. I suoi primi studi geologici risalgono alla seconda metà del XVI secolo, ma si deve a Gian Battista Brocchi, nel suo studio sulla configurazione geologica salentina (1818), l'identificazione, la prima datazione (fra Secondario e Terziario) e l'origine del nome della pietra leccese. Al suo interno, cavatori e paleontologi hanno rinvenuto fossili rilevanti di cefalopodi, delfini, capodogli, denti di squali, pesci, tartarughe e coccodrilli. Attualmente, l'artigianato della pietra leccese produce souvenir e opere d'arte.
L'inizio del lavoro a maglia non ha una datazione certa per la difficoltà di distinguere se le notizie pervenute riguardassero il lavoro eseguito ai ferri oppure quello a telaio. Certo è che questo argomento, recentemente rivalutato da studi approfonditi, ci offre notizie sicure e documentate solo quando ci si ferma al II o III secolo dopo Cristo perché prima la storia si confonde troppo spesso con la leggenda. Sono state però trovate sculture che risalgono al IV secolo a.C. che hanno fatto ipotizzare che il lavoro a maglia fosse ormai entrato nella vita quotidiana, come dimostra una statua greca, che si trova ad Atene, nel Museo del Partenone, Kore n. 670, che sembra indossare un maglione come quello dei nostri tempi. Pur non avendo documenti specifici al riguardo, ad una osservazione attenta, si può notare che l'artista ha riprodotto con lo scalpello la lavorazione del punto a coste - 3 maglie diritte alternate a tre rovesci oppure un'alternanza di 7 diritti e tre rovesci - nelle vesti senza cuciture che venivano indossate durante le cerimonie sacre. Da tener presente che il numero tre e il numero sette erano considerati numeri dal potere magico.
Record aggiornato il: 2025-04-28T02:17:00.848Z