Accedi all'area personale per aggiungere e visualizzare i tuoi libri preferiti
Pubblicazione: Paris : Librairie Fischbacher, 1883
Tipo di risorsa: testo, Livello bibliografico: monografia, Lingua: fre, Paese: FR
Fa parte di: 1: Les religions des peuples non-civilises
Per Tarquini ovvero i re etruschi di Roma si intende il periodo degli ultimi tre re di Roma di origine etrusca (Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo), che regnarono, secondo la tradizione, dal 616 al 509 a.C. E non apparirebbe inverosimile il fatto che per circa un secolo, Roma rimase sotto il dominio etrusco.Nel giudizio fornito dall'antica tradizione romana, questo periodo fu rappresentato da un dispotismo tirannico molto accentuato la cui derivazione, secondo Pietro De Francisci, andrebbe ricercata soprattutto nella natura militare del nuovo potere insediatosi a Roma e che cominciò a intaccare l'antico ordinamento gentilizio.Qui verranno affrontati i principali aspetti sociali, le prime istituzioni, l'economia del periodo, la prima organizzazione militare, le prime forme di arte, cultura, lo sviluppo urbanistico della città, ecc.
Il principato vescovile di Trento (in tedesco: Fürstbistum Trient, in latino: Archidioecesis Tridentinus) fu un antico stato ecclesiastico esistito per circa otto secoli (dall'inizio dell'XI secolo al 1803) all'interno del Sacro Romano Impero, come entità semi-indipendente. I territori appartenenti legalmente al principato corrispondevano a parte della provincia autonoma di Trento e parte della provincia autonoma di Bolzano (almeno fino al XVI secolo), oltre ad una stretta fascia in Svizzera (Engadina). Nel 1803 il principato venne secolarizzato dall'imperatore Francesco d'Asburgo su iniziativa politica di Napoleone (nell'ambito della secolarizzazione di tutti i principati ecclesiastici del Sacro Romano Impero in seguito al Trattato di Lunéville del 1801), che lo annesse tra il 1803 e il 1810 al filo-napoleonico Regno di Baviera e poi al Regno d'Italia fino al 1814. In seguito alla Restaurazione del 1815, i territori appartenenti al principato non vennero restituiti al vescovo, ma l'amministrazione del territorio passò alla contea del Tirolo entro l'Impero austriaco. Per molti secoli dalla sua fondazione, era esistito come entità statale o para-statale del Sacro Romano Impero, retta da ecclesiastici entro un complesso quadro di equilibri e intrecci politico-istituzionali e dinastici. Il principe vescovo aveva diritto di voto alla Dieta Imperiale.
La locuzione res publica è formata dal sostantivo latino res (genericamente, “cosa”), che assume sfumature semantiche differenti a seconda dell'aggettivo con cui è costruito: in questo caso, significa letteralmente “cosa del popolo”,ma può talvolta significare "Stato" o "attività politica", e designa l'insieme dei possedimenti, dei diritti e degli interessi del popolo e dello Stato romano. È utile partire, per comprendere il concetto di res publica, dalla definizione proposta da uno dei più grandi pensatori dell'età repubblicana, Marco Tullio Cicerone, nel suo trattato politico de re publica (I, 25, 39): «La res publica è cosa del popolo; e il popolo non è un qualsiasi aggregato di gente, ma un insieme di persone associatosi intorno alla condivisione del diritto e per la tutela del proprio interesse». Cicerone esprime il rapporto fra res publica e populus in senso patrimoniale: la prima è possesso del popolo, che ne esercita la sua titolarità come un pater familias esercita la propria sulla sua domus. Originariamente, è molto probabile che il termine res publica indicasse nello specifico un tipo di possesso materiale, e cioè «l'organizzazione giuridica della proprietà», del patrimonio collettivo del popolo e soprattutto dell'ager publicus, in una società, come quella della Roma delle origini, fortemente incentrata sul possesso della terra e sull'economia agraria. La mentalità romana si allontanò presto da questa concezione puramente materialista della res publica, e il termine, già in epoca antica, passò a designare lo Stato: è fondamentale tuttavia sottolineare che il pensiero antico non concepiva lo Stato come un ente autonomo e astratto, dotato di una propria personalità giuridica, come negli Stati moderni, ma come l'insieme dei cives, le cui dimensioni pubblica e privata erano un tutto inscindibile. L'uso originario del termine è strettamente legato al passaggio dalla forma di stato monarchica a quella detta appunto repubblicana, verificatosi a Roma al termine del VI secolo a.C.; ciò che tuttavia rende complessa una traduzione e anche una definizione univoca di questa locuzione, è il fatto che essa ha subito nel corso dei secoli una evoluzione semantica, caricandosi al contempo di valenze strettamente legate alla mentalità romana e alle diverse fasi che hanno segnato la storia di Roma antica.
Per regno o popolo cliente in epoca romana si intendeva un regno o un antico popolo, che si trovasse nella condizione di "apparire" ancora indipendente, ma nella "sfera di influenza" e quindi di dipendenza del vicino Impero romano. Si trattava di una forma di moderno protettorato, dove il regno o il territorio in questione era controllato (protetto) da uno più forte (protettore).
La via romana agli Dèi (altrimenti detta Gentilitas, politeismo romano, tradizione romana o romano-italica o italica-romano-italiana) è la continuazione e riproposizione moderna e contemporanea della religione pagana attraverso pratiche tratte o adattate dalla documentazione storica dell'antica Roma. A volte è chiamata impropriamente neopaganesimo romano. È praticata in Italia in forma sia individuale che comunitaria, seppur non pubblica, da alcune centinaia di persone, raccolte in diverse associazioni. Gruppi minori esistono anche in altre nazioni europee e in Nord America.
Con la denominazione di religioni indiane si vengono ad indicare quelle fedi religiose che hanno avuto origine nel subcontinente indiano, cioè Induismo, Giainismo, Buddhismo e Sikhismo; queste sono anche classificate tra le religioni orientali. Pur essendo strettamente collegate con la storia dell'India, le religioni indiane costituiscono una vasta gamma di comunità spirituali le quali non si limitano soltanto al subcontinente. La prova attestante la presenza di una qualche forma di religione preistorica nel subcontinente indiano deriva dagli sparsi reperti di pittura rupestre risalente al Mesolitico. La popolazione di Harappa, città facente parte della civiltà della valle dell'Indo, che durò all'incirca dal 3.300 al 1.300 a.C. (col suo periodo più maturo tra il 2.600 e il 1.900 a.C.) era una cultura urbanizzata precoce di fatto precedente la religione vedica: le genti Dravida e le stesse lingue dravidiche dell'India meridionale sono anch'esse anteriori alla "religione vedica". La storia documentata delle religioni indiane comincia con la formazione religiosa storica conosciuta col nome di Vedismo, concernente le pratiche di fede e spiritualità dei primi popoli Indoiranici, che sono state raccolte successivamente con la Shakha (apprendimento e stesura) dei Veda, testi divenuti col tempo la tradizione spirituale fondamentale presente nella cultura indiana: il periodo della composizione, redazione e commento di tali testi (per lo più inni di lode alle varie divinità) è conosciuto come periodo della civiltà vedica il quale durò all'incirca tra il 1.750 e il 500 a.C.. Questa religione è stata fortemente legata al primo Zoroastrismo e la sua lingua liturgica, il sanscrito vedico, era intelligibile con la lingua avestica. Il periodo di riforma durato tra l'800 e il 200 a.C. segna un "punto di svolta tra la religione vedica e la religione indù". L'antico movimento religioso indiano degli sramana (monaci-asceti itineranti), parallelo ma distinto dalla tradizione vedica, ha dato luogo al Giainismo e al Buddhismo ed è stato responsabile per i concetti relativi di Yoga, saṃsāra (il ciclo di nascita-morte-rinascita inerente a tutti gli esseri) e Mokṣa (la liberazione da quel ciclo). Tale periodo vede anche la scrittura dei Brāhmaṇa e delle Upaniṣad prima - il tutto all'interno della definizione di Brahmanesimo - e la crescita del Vedānta o "fine dei Veda" poi, una delle scuole filosofiche e di pensiero di maggior rilevanza dell'epoca. Il periodo dei Purāṇa (200 a.C.-500 d.C.) e la precoce età medioevale (500-1.100) ha dato luogo a sempre rinnovate definizioni di Induismo, soprattutto quelle di Bhakti (d'impronta più propriamente devozionale) e quellele relative allo Shivaismo, Shaktismo, Vaishnavismo (dedicate rispettivamente a Shiva, alla Devi-Shakti e a Vishnu), fino alla scuola Smārta ed a gruppi minori come la tradizione ritualistica conservatrice Shrauta. Il primo periodo relativo alla dominazione islamica in India (1.100-1.500) ha anch'esso contribuito a dare vita a nuovi movimenti: il Sikhismo è stato fondato nel corso del XV secolo sugli insegnamenti di Guru Nanak e dei nove successivi guru sikh in India del nord: a tutt'oggi la maggior parte dei suoi aderenti proviene ed ha origine dalla regione del Punjab. Col dominio coloniale britannico, l'impero anglo-indiano, si è avuta una reinterpretazione e sintesi dell'Induismo conosciuto come Neo-Vedanta; a partire dalla forma più tradizionale Smarta è sorta una rinnovata tipologia di religiosità adattata al tempo presente, ciò soprattutto tramite l'opera di Ram Mohan Roy (il Brahmo Samaj) il quale ha aiutato anche il contemporaneo movimento d'indipendenza indiano nel neo-induismo dei suoi maggiori leader (dal Mahatma Gandhi, a Swami Vivekananda, da Sri Aurobindo a Sarvepalli Radhakrishnan).
Alcune catalogazioni sono state accorpate perché sembrano descrivere la stessa edizione. Per visualizzare i dettagli di ciascuna, clicca sul numero di record
Record aggiornato il: 2023-10-10T03:24:44.189Z