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Autore principale: Catullus, Gaius Valerius
I Carmina docta sono otto componimenti poetici in vario metro contenuti nel Liber di Catullo, poeta di Sirmione del I secolo a.C., che si distinguono dal resto dell'opera per l'argomento erudito e per il richiamo al modello ellenistico. Vanno dal carme 61 al carme 68 dei 116 carmi totali, secondo la catalogazione effettuata da Cornelio Nepote dopo la morte del poeta cisalpino, databile intorno al 54-53 a.C. I primi due sono epitalami, di cui uno per le nozze di Manlio Torquato e Vinia Aurunculeia (carm. 61) e il Vesper adest (carm. 62); seguono un poemetto, chiamato l'Attis (carm. 63), che tratta di un innamoramento della dea Cibele per un giovinetto; il celebre epillio per le nozze di Peleo e Teti, contenente la storia di Arianna e Teseo (carm. 64); una traduzione in distici elegiaci della Chioma di Berenice di Callimaco (carm. 66), preceduta dalla dedica a Quinto Ortensio Ortalo (carm. 65); un carme su un dialogo scherzoso tra il poeta e una porta contenente segreti e pettegolezzi di provincia (carm. 67) e un'elegia epistolare (carm. 68).7
La pagina include la maggior parte dei frammenti dei lirici greci, vale a dire i poeti che hanno rappresentato nell'antica Grecia la lirica monodica e corale, l'elegia in distici, i giambografi e i compositori di epinici. Naturalmente, risulterebbe impossibile raggruppare tutta la mole di frammenti dei lirici greci dell'epoca arcaica (VII-V secolo a.C.), in un solo blocco, ma ci si limiterà a riportare, tradurre letteralmente, e a commentare sul confronto di edizioni critiche, e dal punto di vista contenutistico del messaggio del poeta, soltanto i frammenti più noti dei poeti, oltre ai testi giunti in versioni quasi del tutto integrali. Le edizioni principali di riferimento sono H.W. Smyth: Poeate Melici Graeci (1900), D.L. Page, Poeate Melici Graeci, Oxford, Claredon Press, 1962, M. Davies, Poetarum Melicorum Graecorum Fragmenta, E Typographeo Clarendoniano, 1991, M. L. West: The Poems and Fragments of the Greek Iambic, Elegiac, and Melics Poets (excluding Pindar and Bacchylides) Down to 450 B.C., Oxford University Press, 1999, e infine E.M. Voigt, Sappho et Alcaeus, Amsterdam: Polak & Van Gennep, 1971 per l'analisi specifica dei testi di Saffo e Alceo.
Con il termine piede ionico si intendono due piedi in uso nella poesia greca e latina, lo ionico a minore (∪ ∪ — —) e lo ionico a maiore (— — ∪ ∪). Entrambi questi piedi contano sei more, e appartengono al génos diplásion, in quanto il rapporto tra arsi e tesi è di 1:2; il ritmo è ascendente per lo ionico a minore e discendente per lo ionico a maiore. Benché le due sillabe lunghe formino nel loro insieme il tempo forte, è probabile che fosse la prima ad essere specialmente marcata. Lo ionico a minore non subisce frequentemente sostituzioni: nel caso le due sillabe brevi siano sostituite con una lunga, si ha un molosso, (— — —); nel caso invece una delle sillabe lunghe sia risolta con due brevi, si hanno gli schemi ∪ ∪ ∪ ∪ — e ∪ ∪ — ∪ ∪. Per lo ionico a maiore queste sostituzioni sono invece più frequenti. Fenomeno invece caratteristico dei piedi ionici è l'anaclasi: negli ionici a minore, l'ultima sillaba lunga di un piede si scambia con la prima sillaba breve del piede successivo, creando la sequenza ∪ ∪ — ∪ — ∪ — — negli ionici a maiore, invece l'anaclasi avviene all'interno del piede, che diviene un ditrocheo (— — ∪ ∪ > — ∪ — ∪)Rarissimi sono i metri ionici acefali: i tragici ne offrono qualche esempio. I metri sincopati invece non sono infrequenti nei sistemi strofici o nei periodi della lirica corale e della poesia drammatica. Il nome del metro deriva dalle popolazioni ioniche dell'Asia Minore, presso le quali si incontrano le più antiche testimonianze dell'uso di questo metro (in particolare con Anacreonte); è probabile che tale metro fosse associato nei culti estatici di Dioniso e di Cibele. Gli ionici a minore sono di uso più antico e si incontrano già nella lirica monodica arcaica; gli ionici a maiore appaiono invece più tardi, ed è quasi certo che iniziarono la loro esistenza come metro autonomo solo in età ellenistica.
Per metrica eolica, o versi eolici si intendono un insieme di versi in uso nella versificazione antica, i quali, per alcune loro caratteristiche, si differenziano dalla prassi metrica usuale, così come veniva intesa e praticata nella letteratura greca e latina. Tale gruppo di versi ha ricevuto la denominazione di metri eolici perché sono stati introdotti nell'uso letterario, da poeti lirici che si servirono del dialetto eolico, come Terpandro, Alceo e Saffo. Gli antichi attribuivano loro anche l'invenzione di questo tipo di metri, mentre i moderni per lo più ritengono che essi si limitarono a conferire dignità letteraria panellenica a metri e ritmi in uso tra le popolazioni eoliche; dopo i grandi esempi dei poeti di Lesbo, tali metri rimasero ampiamente in uso e godettero di grande fortuna, tanto nella Grecia dell'età ellenistica che nella poesia latina. Le caratteristiche peculiari di questo tipo di versificazione sono: l'isosillabismo: la metrica eolica non ammette la soluzione di una lunga – con due brevi ∪ ∪, anche se può ammettere (talvolta), la lunga irrazionale cioè che sostituisce una breve. la presenza, all'inizio di questi versi, di un piede bisillabico, normalmente definito base eolica, la cui quantità è completamente indifferente: tale base può essere realizzata con un trocheo, un giambo, uno spondeo o un pirrichio, anche se alcune forme sono preferite ad altre. la parte ritmicamente marcata dei versi è di solito dattilica o coriambica, ma sono possibili combinazioni miste.
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