Accedi all'area personale per aggiungere e visualizzare i tuoi libri preferiti
Publio Virgilio Marone, noto semplicemente come Virgilio o Vergilio (in latino: Publius Vergilius Maro, pronuncia classica o restituta: [ˈpuːblɪ.ʊs wɛrˈɡɪlɪ.ʊs ˈmaroː]; Andes (Mantova), 15 ottobre 70 a.C. – Brindisi, 21 settembre 19 a.C.), è stato un poeta romano, autore di tre opere, tra le più famose della letteratura latina: le Bucoliche (Bucolica), le Georgiche (Georgica), e l'Eneide (Æneis). Al poeta vengono attribuiti anche una serie di componimenti giovanili, la cui autenticità è oggetto di dubbi e di complicate controversie, che si è soliti indicare in un'unica raccolta, nota col titolo di Appendix Vergiliana (Appendice Virgiliana). Virgilio, per il senso sublime dell'arte e per l'influenza che esercitò nei secoli, fu il massimo poeta di Roma, nonché l'interprete più completo e più schietto del grandioso momento storico che, dalla morte di Giulio Cesare, conduce alla fondazione del Principato e dell'Impero ad opera di Augusto. L'opera di Virgilio, presa a modello e studiata fin dall'antichità, ha avuto una profondissima influenza sulla letteratura e sugli autori occidentali, in particolare su Dante Alighieri e la sua Divina Commedia, nella quale Virgilio funge anche da guida dell'Inferno e del Purgatorio.
Le Bucoliche sono un'opera del poeta latino Publio Virgilio Marone, iniziata nel 42 a.C e divulgata intorno al 39 a.C. È costituita da una raccolta di dieci egloghe esametriche con trattazione e intonazione pastorali; i componimenti hanno una lunghezza che varia dai 63 ai 111 versi, per un totale di 829 esametri. Questa scelta colloca quindi l'opera nel solco neoterico-callimacheo, di ispirazione alessandrina e precisamente nel filone teocriteo. “Bucoliche” deriva dal greco Βουκολικά (da βουκόλος = pastore, mandriano, bovaro); sono state definite anche ἐκλογαί, egloghe, ovvero "poesie scelte". Esse furono il primo frutto della poesia di Virgilio, ma, nello stesso tempo, possono essere considerate la trasformazione in linguaggio poetico dei precetti di vita appresi dalla scuola epicurea di Napoli.
L'Eneide (in latino: Aeneis) è un poema epico della cultura latina scritto dal poeta Publio Virgilio Marone tra il 29 a.C. e il 19 a.C. Narra la leggendaria storia dell'eroe troiano Enea (figlio di Anchise e della dea Venere) che riuscì a fuggire dopo la caduta della città di Troia, e che viaggiò per il Mediterraneo fino ad approdare nel Lazio, diventando il progenitore del popolo romano. Alla morte di Virgilio il poema, scritto in esametri dattilici e composto da dodici libri per un totale di 9.896 esametri, rimase privo degli ultimi ritocchi e revisioni dell'autore, testimoniate da 58 esametri incompleti (chiamati tibicines, puntelli); perciò nel suo testamento il poeta fece richiesta di farlo bruciare, nel caso in cui non fosse riuscito a completarlo, ma gli amici Vario Rufo e Plozio Tucca, non rispettando le volontà del defunto, salvaguardarono il manoscritto dell'opera e, successivamente, l'imperatore Ottaviano Augusto ordinò di pubblicarlo così com'era stato lasciato. I primi sei libri raccontano la storia del viaggio di Enea da Troia all'Italia, mentre la seconda parte del poema narra la guerra, dall'esito vittorioso, dei Troiani - alleati con i Liguri, con alcuni gruppi locali di Etruschi e con i Greci provenienti dall'Arcadia - contro i Rutuli, i Latini e le popolazioni italiche in loro appoggio, tra cui i Volsci e altri Etruschi; sotto il nome di Latini finiranno per essere conosciuti in seguito Enea e i suoi seguaci. Enea è una figura già presente nelle leggende e nella mitologia greca e romana, e compare spesso anche nell'Iliade; Virgilio mise insieme i singoli e sparsi racconti dei viaggi di Enea, la sua vaga associazione con la fondazione di Roma e soprattutto un personaggio dalle caratteristiche non ben definite tranne una grande devozione (pietas in latino), e ne trasse un avvincente e convincente "mito della fondazione", oltre a un'epica nazionale che allo stesso tempo legava Roma ai miti omerici, glorificava i valori romani tradizionali e legittimava la dinastia giulio-claudia come discendente dei fondatori comuni, eroi e dei, di Roma e Troia.
La Rota Vergilii (o Virgilii o Dottrina degli Stili) è una concezione letteraria che fiorì nel corso del Medioevo, secondo cui ci sono tre livelli stilistici (semplice, medio, elevato) cui il letterato deve attenersi. Tale dottrina prende il nome da Virgilio in quanto i tre gradi stilistici corrisponderebbero alle tre opere (Bucoliche, Georgiche ed Eneide) del letterato latino.
Gaio Cilnio Mecenate (in latino Gaius Cilnius Maecenas; Arezzo, 15 aprile 68 a.C. 8 a.C.), nato da un'antica famiglia etrusca, stato un influente consigliere, alleato ed amico dell'imperatore Augusto.
L'Appendix Vergiliana è una raccolta di carmi di vario metro, tradizionalmente attribuiti a Publio Virgilio Marone, ma probabilmente composti tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. fra Roma e Napoli. Le probabilità che siano stati scritti proprio da Virgilio sono in realtà molto basse, per alcuni addirittura nulle. Il termine appendix fu usato per la prima volta dall'umanista Giuseppe Giusto Scaligero nel 1572 e si riferisce alla consuetudine di stampare questi testi tutti assieme e in appendice alle opere di Virgilio. I carmi sono di diversa lunghezza e valore e costituiscono più un prodotto intellettuale che non poetico.
La poesia didascalica (raramente detta poesia didattica) è un genere letterario che, in forma di poema o di più brevi componimenti metrici (capitoli, epistole), si propone di impartire un ammaestramento scientifico, religioso, morale, dottrinale, ecc. Il più antico esempio è costituito dal breve poema Le opere e i giorni di Esiodo, risalente all'VIII secolo a.C. contenente una serie di consigli per le opere agricole delle singole stagioni. Nel poema esiodeo s'impartiscono agli uomini consigli pratici per l'attività fondamentale in una comunità agricola. La poesia didascalica è diffusa nella Letteratura greca negli Antidoti di Nicandro (II secolo a.C.) e nel secolo precedente grazie all'opera di Arato di Soli "I fenomeni", è stata poi ripresa dalla Letteratura latina (con il capolavoro De rerum natura di Lucrezio). Rientrano nel genere didascalico anche le "Georgiche" di Virgilio, composte intorno al 30 a.C. La poesia didascalica è presente anche in maniera copiosa nella Letteratura italiana fino da Bonvesin de la Riva, Brunetto Latini e Dante Alighieri.
La locuzione latina Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc / Parthenope; cecini pascua, rura, duces è la celebre iscrizione funebre scritta sulla tomba di Publio Virgilio Marone, ubicata a Napoli, nel Parco Vergiliano a Piedigrotta. La leggenda narra che questa frase sarebbe stata dettata dallo stesso Virgilio in punto di morte. Letteralmente si può tradurre come "Mantova mi generò, la Calabria mi rapì, e ora mi tiene Napoli; cantai i pascoli, le campagne, i condottieri".L'iscrizione è un distico elegiaco, in cui sono riassunti i luoghi e l'opera del poeta: Mantua me genuit: Virgilio nacque ad Andes, corrispondente all'attuale Pietole, frazione del comune di Borgo Virgilio, vicino a Mantova; Calabri rapuere: morì nell'attuale Puglia meridionale, il Salento, all'epoca chiamata Calabria, e precisamente a Brundisium (Brindisi); tenet nunc Parthenope: fu seppellito a Parthènope (Napoli).cecini (dal verbo latino căno, -is, cecini, cantum, -ĕre, "cantare", quindi cantai). Le sue opere più importanti trattarono: pascua, i pascoli, alludendo alle Bucoliche, rura, le campagne, alludendo alle Georgiche, duces, i duci, i condottieri, gli eroi, alludendo all’Eneide.